Parlare di patria, parlare di niente

“La patria rappresenta tutti i vantaggi di cui godono i più ricchi abitanti di uno Stato. I fortunati che monopolizzano la ricchezza, monopolizzano la patria.
Gli ultimi non hanno patria.
Quando gli si dice di amare la patria, gli si dice di amare i privilegi dei loro oppressori: quando gli si dice di difendere la patria, gli si dice di difendere i vantaggi di cui godono coloro che li sfruttano.
È una farsa immonda.
È una commedia sinistra.”
Georges Darien

Il patriottismo emerge nei discorsi dei molti non solo come esplicito elogio alla nazione, ma in tutte le forme in cui la prospettiva sulle cose, sugli eventi, e su tutta la concezione della realtà inquadra una visione che suddivide il mondo in Stati sovrani, sostanzialmente indipendenti e responsabili della propria economia e gestione interna, leggi, etc. (Accade spesso di sentire paragoni velleitari spesso anche infondati sulle condizioni di vita e le regole – dall’alto – vigenti in altri stati europei in materia di scuola, lavoro, sanità, mobilità, inquinamento…).
Ma la retorica del patriottismo, l’inconsistenza del concetto di nazione, di bandiera, è immediatamente chiara solo se ci si libera da quella logica propinata che deforma i fatti e la storia, oltre che gli individui, a modello della società classista che l’ha strutturata e che la ritiene necessaria per continuare ad essere alimentata e mantenersi.
Se la nazione coincidesse lontanamente ad un condivisione di intenti, costumi, tradizioni (ahi che parola..), lingue e cultura popolare, i suoi confini dovrebbero essere limitati alla comunità o alla zona geografica in qui queste si sono sviluppate – liberamente. Questo sarebbe qualcosa che ha a che vedere con il senso della parola tedesca “heimat”, ma nulla con il concetto di Stato, centralizzato, istituzionalizzato e dominatore asfissiante e distante.
Ma che cos’è la patria se non la consacrazione del potere della classe superiore e dei suoi interessi?
Oltre più, nella realtà del tecno-capitalismo odierno, le nazioni possono poco con la mobilità assunta dal potere economico-politico, che si sposta su monopoli dettati dal possesso di moli di dati digitali più che di fette fisiche di territorio (google, amazon, microsoft, facebook). Questa supera ridicolmente i confini nazionali e ha dettato una configurazione enormemente diversa da quella che rappresenta un assetto nazionalista ormai ottocentesco. La guerra non ha più bisogno di eserciti popolari, di reclutamenti di massa, e si gioca su terreni dislocati dai centri di comando con eserciti specializzati e mezzi iper-tecnologici, a partire dai droni senza pilota;
La retorica della nazione trova la sua funzione nelle masse proprio a livello della narrazione attraverso la quale si accomuna e si contrappone ad hoc: il ricco con il povero, l’operaio di fabbrica con il padrone, l’azienda nazionale all’azienda altro-nazionale, il mercato nazionale da quello altro-nazionale. In questo modo la nazione si occupa di tenere a bada il tessuto-cardine del funzionamento- nei confini artefatti del proprio dominio: la coscienza popolare e l’identificazione del cittadino all’interno del sistema-Stato.
In alcune teste persino la situazione in oltralpe rimanda il discorso alla validità dei sindacati francesi: ecco qui il capolavoro della menzogna nazionale! Grazie al lavoro dell’informazione di massa, della televisione a raccontare gli eventi – sempre da quella prospettiva al di sopra e così potentemente livellante – il mirino viene nuovamente spostato sugli apparati di Stato. Agli uccellini viene raccontato il gioco della politica, delle forze istituzionali e delle masse democraticamente spostate in piazza per chiedere i diritti. Cosa che pone in primo ovviamente in primo luogo il fatto che “questo” Stato ci sia e ci debba essere, e l’istanza una forza da vincere tutti insieme, superando difficoltà burocratiche…
Quando il passo sulle pensioni ha rappresentato un cedimento del governo di fronte a pressioni (passioni) distruttive prolungate e incrociatesi sulla piazza.

Riappropriarci del nostro essere come individui, rompere le maglie di un identità imposta e fasulla tanto quanto reazionaria, è il primo passo verso il pensare anarchico…

 

 

Ludd