Articoli recenti

Andrà tutto bene

In questi giorni di coronavirus e di reclusione domestica è aumentato il tempo per pensare e quindi non possiamo esimerci dal proporvi una nostra riflessione, partendo dall’hashtag divenuto virale in questi giorni “Andrà tutto bene” a cui Noi aggiungiamo: certo, ma a quale normalità vogliamo tornare?

Alla normalità che in questi anni ha visto il sistema sanitario spolpato da interessi personali e dai finanziamenti a favore delle cliniche private. Finanziamenti che oggi hanno come risultato che i costi di gestione e di ricerca del virus siano a carico del sistema nazionale e quindi della collettività. Normalità che ha visto la continua chiusura dei reparti negli ospedali periferici, uno su tutti il punto nascite, proprio nelle zone più isolate come possono essere le nostre.

Un confronto interessante riguarda i posti letto nei reparti di rianimazione, in Germania 28000 mentre in Italia 5000 (fonte Deutsche Krankenhausgesellschaft, la confederazione degli ospedali tedeschi). Il 450 % di posti in più a fronte del 40% di popolazione in più, uno squilibrio evidente.

Oggi il sistema sanitario, saturo dai ricoveri, si rende bene conto dei risultati di quelle politiche e anche noi ci rendiamo conto di quanto i soldi spesi per le grandi opere come il Tav o il Mose o per le armi siano sottratti al nostro futuro. E non parliamo di bruscolini, le spese militari sono pari a 25-28 miliardi di euro all’anno, circa 70 milioni di euro al giorno (fonte libro bianco della difesa). Quanti ospedali possono essere costruiti con quei soldi o quanti infermieri, medici possono essere formati? Un singolo aereo F35 costa come più di 7000 ventilatori polmonari. E non stiamo parlando solo di soldi, perché i primi portano morte i ventilatori salvano vite!

Alla normalità che in questi anni ha visto le carceri riempirsi a dismisura (oggi 61000 reclusi su poco più di 50000 posti. Dati ministero della giustizia, ma è stato anche peggio), stipando persone in condizioni di vita durissime, anzi disumane come nel caso dell’ergastolo ostativo dichiarato così dalla corte europea dei diritti dell’uomo . Carceri che in questi giorni sono in rivolta contro questo sistema che li rende soggetti a un pericolo enorme derivante dalla diffusione del virus che, nel sovraffollamento e negli spazi stretti, prospera. Come può oggi lo stato condannare le rivolte, esigere legalità e pretendere la redenzione dei carcerati quando è il primo a violare le proprie leggi?

Alla normalità che vede una classe politica che ha fomentato in questi anni l’odio contro il diverso accusandolo delle peggiori colpe perfino di essere il portatore di malattie e disgrazie. Ed oggi che i portatori delle malattie sono gli italiani, rimbalzati ai confini nazionali, questa classe politica che dice? Nulla perché è troppa l’evidenza della pochezza di quella propaganda.

Oggi è noto che la malattia, non sia venuta dai barconi, ma da una classe business di un aereo. E di fronte a questo, da vili, non possono fare altro che tacere.

Alla normalità che vede grandi mobilitazioni di solidarietà solo in occasione di gravi disgrazie, come il ponte Morandi nei periodici disastri che colpiscono l’Italia.

Encomiabili certo ma limitate, a volte sterili e pietiste carità che vanno a mettere una pezza alle conseguenze non alle cause. Forse indicatori di un preoccupante atteggiamento di quotidiano disinteresse. Perché la solidarietà non si fa solo con l’elemosina, si fa con la lotta!

E di fronte a tutto ciò siamo sicuri che andrà tutto bene, ma a quella normalità non vogliamo certo tornare!

Valsabbin* Refrattar*

Governarsi

Se è vero che un popolo ha il governo che si merita, quando ci sarà possibile meritare di non averne affatto?

Paul-Jean Toulet

 

“Il governo che ci meritiamo”, affermazione ben sermoneggiata da chi, al cospetto dei problemi sociali-economici raccontati dai media, decanta l’assoluta superiorità della fede democratica, forgiata sulla delega di ogni problema alle istituzioni – gerarchiche e qualificate – dell’organismo statale. Un governo ci dev’essere, e formato dai “migliori” uomini (notare il presupposto maschilista) scelti dalla maggioranza, vengono costoro affermando nella loro visone che nemmeno riconoscono come “utopica”.
Ma cos’è questa maggioranza che vota il meno peggio tra uno o l’altro presidente (regnate temporaneo)? Cos’è questa maggioranza se non essa stessa un infinito insieme di minoranze che, su un area tanto grande da sfuggire al quotidiano, si fa manipolare facilmente da chi detiene il controllo capillare di questa realtà?

Una realtà lontana appunto, che si presenta al singolo semplificata ideologicamente in modo da  portarlo a scegliere chi, tra un maiale o un porco, potrà dettare legge legittimato dal voto per qualche anno. Non sarebbe più logico scegliere se partecipare, se farsi rappresentare o meno?

“La tua libertà finisce dove inizia quella degli altri” sostengono gli autoritari democratici, sottintendendo che tu ti esaurisci nella tua vita privata fatta di relazioni sociali già normate. Lo Stato e tutte le diverse strutture di potere, che legalmente o meno, ogni giorno creano distruggono obbligano e vietano, attraverso la complessa organizzazione sociale, disperdono le responsabilità individuali nella distanza tra i propri compiti e i risultati ultimi della catena: come e fin quanto è possibile determinare parole come la libertà e la partecipazione in questo vuoto creato?

Rispondiamo così che la libertà, quella vera, non finisce dove inizia quella degli altri ma si feconda e si sviluppa con quella di chi incontri, con quella di coloro con cui interagisci direttamente.

Lo stato si definisce essere la totalità delle volontà delle persone che domina, buffonata per reggersi la corona. Per quale motivo un uomo in toga che siede e mangia a sbaffo nella distanza di migliaia di km da dove vivo deve avere una partecipazione – positiva che fosse – a decisioni i cui effetti riguardano solamente me e le altre persone con cui vivo? Perché un tale deve decidere se tagliare questa pianta e farne un parcheggio, se abbattere il vecchio ponte.. sul quale nemmeno camminerà mai?

Sappiamo che lo stato è un organizzazione totalizzante ed essenzialmente di dominio sui territori e sulle possibilità di autonomia di chi li vive. L’autonomia solo fino a garantire il suo riconoscimento, la libertà di agire (panificare, comprare una capra) subordinata alla sua diretta accettazione.

Per molti secoli le genti, in maniera inversa all’avanzamento di quest’ultima forma di potere centralizzato, hanno vissuto forme reali di autonomia sui propri luoghi concordando regole, modi di vivere e costumi in modo diretto e non mediato. Sono state capaci a volte di confederarsi come la svizzera delle origini. Sono state in grado di pattare direttamente coi signori o signorotti forme concrete di autodeterminazione e libertà (vedi escartuns), fino all’imposizione del sindaco avvenuta a  seguito della rivoluzione francese degenerata nella primordiale forma di stato moderno: tutti uguali ma non liberi di essere diversi (omologazione nazionale).

Per secoli le genti alpine hanno curato boschi, gestito incendi, commerciato, tramandato ed elaborato conoscenze in ogni campo, senza che ci fosse bisogno di un controllo centralizzato, unidirezionale e distante ma semplicemente autoamministrandosi nella gestione dei bisogni comunitari dove proprio e collettivo tornano hanno un rapporto diretto in funzione del pratico.

Solo un sistema alterato come quello creato dallo stato e dai forti interessi privati, con le loro diramazioni gerarchiche e spartizioni, può pretendere di separare nettamente l interesse comune da quello personale, mettendoli in contrasto: il “comune” diventa “pubblico” di uno stato lontano, il “personale” invece “privato” legato al denaro, dove quest’ultimo equivale appunto all’appropriazione legalizzata di ciò che ha effetti su tuttx. In nome del pubblico si perpetuano i peggiori scempi e sistemi energivori e bio-devastanti, in nome del privato si legittima lo sfruttamento di persone, animali e natura.

Vivere situazioni reali e vive, dove non esiste un dominio esterno e le decisioni con tutte le loro responsabilità, si stabiliscono e si accettano sulla base del confronto diretto e gli effetti visibili, potrebbe non è così difficile se iniziamo ad immaginare un mondo diverso, senza passare per folli da chi ci sta attorno. A tuttx noi, dichiarati folli, è capitato di viverle, e la storia ne è piena; forme antistatali anche su larga scala (certo hanno trionfato gli imperi, ma solo per forza  bruta). Il sentimento di amore alla vita, liberato dal peso dell’autorità, accade anche per caso a volte.. per un qualche attimo, per una qualche soleggiata occasione, come a scuola, in attimi di eccezionale dis-ordinarietà. Magari proprio in quelle fasi di emergenza, dove saltano i piani costituiti e i professorx non sembrano poi così spaventosi, o quando per qualche ora viene a mancare la corrente…..

 

 

 

 

 

 

[01.03.2020]

 

Parole bandite – De André e l’Anarchia

“Ma se ti tagliassero a pezzetti, il vento li raccoglierebbe, il regno dei ragni cucirebbe la pelle, e la luna tesserebbe i capelli e il viso… e il polline di dio, di dio il sorriso… “.  Signora libertà, signorina “fantasia” – (che ad un concerto diventa spontaneamente) “anarchia“. Questa parola, bandita, illegale, censurata e taciuta. Respinta nei meandri di quelle parole che hanno avuto un senso che non si vuole ricordare e un significato da soffocare; parola per illusi, parola per incendiari, forsennati, romantici, ma così attraente per chi vaga disincantato e disilluso nell’assurdità delle leggi di questo mondo civile, in cerca di un anelito di verità, di naturalezza e sincerità.

Così De André ha il pregio di invitare alla scoperta di un termine il cui significato si perde tra la molteplicità delle sue musiche, dei racconti diversi di esperienze così lontane nei posti e nei tempi da comprendere culture, lingue, dialetti, religioni e visioni del mondo diverse tra loro, rintracciandosi in un filo che ripercorre vite e pensieri di “anime salve” e spiriti solitari.

In De André il concetto di anarchia si riveste di un significato naturalistico che attraverso la poesia delinea le forme di un mondo che è già presente e ha poco di utopistico se non solamente nei sogni propulsivi emersi dalle voci che lo raccontano, e così si confonde, tra le minoranze del presente e della storia, dai nativi americani ai sardi pastori e contadini, dai fuorilegge ai pescatori, marinai, carcerati, anziani, rom, anime perse e sognatori di ogni epoca e ogni luogo. Tutte vittime innocenti di qualcosa di più grande, compresi moltx personaggi che per pigrizia o comodità smistano gli affaracci del potere, rivelando in piccoli atti sottaciuti le loro misere debolezze e qualche barlume di umanità.

Insomma un anarchia che sta nel mondo, nella bellezza degli elementi naturali che ricompongono una composizione in continuo mutamento e, la luna, i prati, il cielo e le stagioni, le fatiche ed il vino, l’amore ed il viaggio, la partenza e la nostalgia. Quella stessa “nuvola di dubbi e di bellezza” che nella testa compone e scompone nuove idee in quel tentativo di ricreare un contorno migliore nelle nostre vite e di combaciare il bene ed il male, la vita e la morte, il senso del mondo…

Anarchia è assenza di potere autoritario. Possibilità propria di concepire e vivere relazioni dinamiche con le leggi della natura – laddove il rapporto con il mondo circostante è autentico e libero da sistemi di dominio (in tal senso i popoli pellerossa rappresentano una modalità di vivere analoga) – anarchia come un soffio d’aria, che appena sfiora tra i versi di queste mille individualità, questi personaggi così particolari e carichi della propria storia, così legati ed affezionati alle fatiche quotidiane di un antico mestiere, di un innocente fantasia, di un umile fede.

Questo ne fa forse una visione asettica senza speranza? Una visione realistica-deterministica nella quale tutto è perduto e noi, come anime perse, anime salve, siamo solo una minoranza sognante e barcollante destinata infinitamente a soccombere?

Può darsi, De André è stato un osservatore distaccato- cantastorie del mondo in terza persona, almeno quanto è per le canzoni. Ma il punto non è certamente vedere cosa è stato De André ma è ascoltare il vento e sentirlo e sentire di esserne parte.

Se la Società, prima o poi, ci facesse a pezzetti, è certo, il vento li raccoglierebbe…