Governarsi

Se è vero che un popolo ha il governo che si merita, quando ci sarà possibile meritare di non averne affatto?

Paul-Jean Toulet

 

“Il governo che ci meritiamo”, affermazione ben sermoneggiata da chi, al cospetto dei problemi sociali-economici raccontati dai media, decanta l’assoluta superiorità della fede democratica, forgiata sulla delega di ogni problema alle istituzioni – gerarchiche e qualificate – dell’organismo statale. Un governo ci dev’essere, e formato dai “migliori” uomini (notare il presupposto maschilista) scelti dalla maggioranza, vengono costoro affermando nella loro visone che nemmeno riconoscono come “utopica”.
Ma cos’è questa maggioranza che vota il meno peggio tra uno o l’altro presidente (regnate temporaneo)? Cos’è questa maggioranza se non essa stessa un infinito insieme di minoranze che, su un area tanto grande da sfuggire al quotidiano, si fa manipolare facilmente da chi detiene il controllo capillare di questa realtà?

Una realtà lontana appunto, che si presenta al singolo semplificata ideologicamente in modo da  portarlo a scegliere chi, tra un maiale o un porco, potrà dettare legge legittimato dal voto per qualche anno. Non sarebbe più logico scegliere se partecipare, se farsi rappresentare o meno?

“La tua libertà finisce dove inizia quella degli altri” sostengono gli autoritari democratici, sottintendendo che tu ti esaurisci nella tua vita privata fatta di relazioni sociali già normate. Lo Stato e tutte le diverse strutture di potere, che legalmente o meno, ogni giorno creano distruggono obbligano e vietano, attraverso la complessa organizzazione sociale, disperdono le responsabilità individuali nella distanza tra i propri compiti e i risultati ultimi della catena: come e fin quanto è possibile determinare parole come la libertà e la partecipazione in questo vuoto creato?

Rispondiamo così che la libertà, quella vera, non finisce dove inizia quella degli altri ma si feconda e si sviluppa con quella di chi incontri, con quella di coloro con cui interagisci direttamente.

Lo stato si definisce essere la totalità delle volontà delle persone che domina, buffonata per reggersi la corona. Per quale motivo un uomo in toga che siede e mangia a sbaffo nella distanza di migliaia di km da dove vivo deve avere una partecipazione – positiva che fosse – a decisioni i cui effetti riguardano solamente me e le altre persone con cui vivo? Perché un tale deve decidere se tagliare questa pianta e farne un parcheggio, se abbattere il vecchio ponte.. sul quale nemmeno camminerà mai?

Sappiamo che lo stato è un organizzazione totalizzante ed essenzialmente di dominio sui territori e sulle possibilità di autonomia di chi li vive. L’autonomia solo fino a garantire il suo riconoscimento, la libertà di agire (panificare, comprare una capra) subordinata alla sua diretta accettazione.

Per molti secoli le genti, in maniera inversa all’avanzamento di quest’ultima forma di potere centralizzato, hanno vissuto forme reali di autonomia sui propri luoghi concordando regole, modi di vivere e costumi in modo diretto e non mediato. Sono state capaci a volte di confederarsi come la svizzera delle origini. Sono state in grado di pattare direttamente coi signori o signorotti forme concrete di autodeterminazione e libertà (vedi escartuns), fino all’imposizione del sindaco avvenuta a  seguito della rivoluzione francese degenerata nella primordiale forma di stato moderno: tutti uguali ma non liberi di essere diversi (omologazione nazionale).

Per secoli le genti alpine hanno curato boschi, gestito incendi, commerciato, tramandato ed elaborato conoscenze in ogni campo, senza che ci fosse bisogno di un controllo centralizzato, unidirezionale e distante ma semplicemente autoamministrandosi nella gestione dei bisogni comunitari dove proprio e collettivo tornano hanno un rapporto diretto in funzione del pratico.

Solo un sistema alterato come quello creato dallo stato e dai forti interessi privati, con le loro diramazioni gerarchiche e spartizioni, può pretendere di separare nettamente l interesse comune da quello personale, mettendoli in contrasto: il “comune” diventa “pubblico” di uno stato lontano, il “personale” invece “privato” legato al denaro, dove quest’ultimo equivale appunto all’appropriazione legalizzata di ciò che ha effetti su tuttx. In nome del pubblico si perpetuano i peggiori scempi e sistemi energivori e bio-devastanti, in nome del privato si legittima lo sfruttamento di persone, animali e natura.

Vivere situazioni reali e vive, dove non esiste un dominio esterno e le decisioni con tutte le loro responsabilità, si stabiliscono e si accettano sulla base del confronto diretto e gli effetti visibili, potrebbe non è così difficile se iniziamo ad immaginare un mondo diverso, senza passare per folli da chi ci sta attorno. A tuttx noi, dichiarati folli, è capitato di viverle, e la storia ne è piena; forme antistatali anche su larga scala (certo hanno trionfato gli imperi, ma solo per forza  bruta). Il sentimento di amore alla vita, liberato dal peso dell’autorità, accade anche per caso a volte.. per un qualche attimo, per una qualche soleggiata occasione, come a scuola, in attimi di eccezionale dis-ordinarietà. Magari proprio in quelle fasi di emergenza, dove saltano i piani costituiti e i professorx non sembrano poi così spaventosi, o quando per qualche ora viene a mancare la corrente…..

 

 

 

 

 

 

[01.03.2020]