Parole bandite – De André e l’Anarchia

“Ma se ti tagliassero a pezzetti, il vento li raccoglierebbe, il regno dei ragni cucirebbe la pelle, e la luna tesserebbe i capelli e il viso… e il polline di dio, di dio il sorriso… “.  Signora libertà, signorina “fantasia” – (che ad un concerto diventa spontaneamente) “anarchia“. Questa parola, bandita, illegale, censurata e taciuta. Respinta nei meandri di quelle parole che hanno avuto un senso che non si vuole ricordare e un significato da soffocare; parola per illusi, parola per incendiari, forsennati, romantici, ma così attraente per chi vaga disincantato e disilluso nell’assurdità delle leggi di questo mondo civile, in cerca di un anelito di verità, di naturalezza e sincerità.

Così De André ha il pregio di invitare alla scoperta di un termine il cui significato si perde tra la molteplicità delle sue musiche, dei racconti diversi di esperienze così lontane nei posti e nei tempi da comprendere culture, lingue, dialetti, religioni e visioni del mondo diverse tra loro, rintracciandosi in un filo che ripercorre vite e pensieri di “anime salve” e spiriti solitari.

In De André il concetto di anarchia si riveste di un significato naturalistico che attraverso la poesia delinea le forme di un mondo che è già presente e ha poco di utopistico se non solamente nei sogni propulsivi emersi dalle voci che lo raccontano, e così si confonde, tra le minoranze del presente e della storia, dai nativi americani ai sardi pastori e contadini, dai fuorilegge ai pescatori, marinai, carcerati, anziani, rom, anime perse e sognatori di ogni epoca e ogni luogo. Tutte vittime innocenti di qualcosa di più grande, compresi moltx personaggi che per pigrizia o comodità smistano gli affaracci del potere, rivelando in piccoli atti sottaciuti le loro misere debolezze e qualche barlume di umanità.

Insomma un anarchia che sta nel mondo, nella bellezza degli elementi naturali che ricompongono una composizione in continuo mutamento e, la luna, i prati, il cielo e le stagioni, le fatiche ed il vino, l’amore ed il viaggio, la partenza e la nostalgia. Quella stessa “nuvola di dubbi e di bellezza” che nella testa compone e scompone nuove idee in quel tentativo di ricreare un contorno migliore nelle nostre vite e di combaciare il bene ed il male, la vita e la morte, il senso del mondo…

Anarchia è assenza di potere autoritario. Possibilità propria di concepire e vivere relazioni dinamiche con le leggi della natura – laddove il rapporto con il mondo circostante è autentico e libero da sistemi di dominio (in tal senso i popoli pellerossa rappresentano una modalità di vivere analoga) – anarchia come un soffio d’aria, che appena sfiora tra i versi di queste mille individualità, questi personaggi così particolari e carichi della propria storia, così legati ed affezionati alle fatiche quotidiane di un antico mestiere, di un innocente fantasia, di un umile fede.

Questo ne fa forse una visione asettica senza speranza? Una visione realistica-deterministica nella quale tutto è perduto e noi, come anime perse, anime salve, siamo solo una minoranza sognante e barcollante destinata infinitamente a soccombere?

Può darsi, De André è stato un osservatore distaccato- cantastorie del mondo in terza persona, almeno quanto è per le canzoni. Ma il punto non è certamente vedere cosa è stato De André ma è ascoltare il vento e sentirlo e sentire di esserne parte.

Se la Società, prima o poi, ci facesse a pezzetti, è certo, il vento li raccoglierebbe…